WORK IS WORK

 

Telelavoro, smartworking, remote working, flexible work

Quante parole abbiamo setacciato nel vocabolario per rappresentare questo “lavoro a casa”!

Nei tre mesi appena trascorsi abbiamo assaggiato una delocalizzazione forzata di massa.

La chiusura dei luoghi di lavoro per ragioni sanitarie ha prodotto una reazione necessaria. Raffazzonata, improvvisata, svogliata o resiliente. Ciascuno ci ha messo del suo, per reazione o per indole.

Anche le organizzazioni: alcune con razionalità, altre con preparazione e altre ancora per disperazione e necessità.

In fondo una pandemia non è un evento che abbiamo avuto modo di sperimentare prima. Ognuno l’ha affrontato con il proprio “stile”.

 

Forme di lavoro e luoghi di lavoro flessibili ne avevamo sperimentati e organizzati negli ultimi anni. Erano appannaggio di alcuni lavoratori e di organizzazioni che avevano sviluppato il proprio modello. Insomma un lavoro intelligente, appunto, pensato e disegnato sull’organizzazione, sulle persone, sui clienti, sulle catene del valore. Con le multinazionali che avevano fatto i loro calcoli, con indiscutibili vantaggi a fronte di investimenti in formazione, organizzazione, tecnologia…

 

E c’era pure stato il tentativo di costruire regole pubbliche. Non un gran che di legge, se per poter avviare la reazione emergenziale, la prima cosa necessaria è stata quella di rimuovere lacci e lucchetti di quel breve testo, frutto di mille compromessi e poca logica.

 

Quando affronto un’analisi come questa mi sovviene l’immagine evangelica della pezza nuova sul vestito vecchio. E la parentesi che abbiamo vissuto è stata così: ci abbiamo messo una pezza. E non poteva essere diversamente nel Paese di Arlecchino e nel passaggio tra un carnevale e una lunga quaresima che avrebbe, ed ha, oltrepassato Pasqua.

 

Eppure – nonostante tutta l’improvvisazione in cui siamo capaci, anzi persino bravi – abbiamo assaggiato queste modalità di lavoro remoto e ci sono venute suggestioni e idee. Qualcosa è andato per il verso giusto ma non eravamo in una condizione di normalità e con tempi giusti di elaborazione. Si è trattato di una forzatura che però ha interessato numeri importanti, da esperimento sociale.

E su questo fenomeno diffuso agiscono alcuni fattori psicologici importanti, che sarà necessario monitorare e valutare.

Il primo è quello dell’associazione mentale tra l’evento pandemico e la condizione forzosa che ne è conseguita. Ci sarà una tendenza a reagire andando verso una situazione di normalità riconquistata.

Poi a questo si aggiungono altri elementi a favore della rimozione: la mancanza di preparazione, l’obbligatorietà, la gestione di spazi non adeguati, la convivenza con altre esigenze familiari.

Tutto questo costruisce una reazione emotiva che non può essere cancellata e nemmeno sottovalutata perché agisce in profondità.

 

Tuttavia non possiamo nemmeno negare che nella quantità di esperienze e situazioni individuali, si è anche sedimentata, in un certo numero di persone, una sensazione positiva. La scoperta di una opportunità nuova rispetto alla gestione del tempo, alle potenzialità delle tecnologie, alla possibilità di operare assicurando risultati per la propria organizzazione. Nonostante tutti gli ostacoli, che avrebbero giustificato risultati scadenti, alcuni hanno potuto constatare che “si può fare”, non solo “mi è persino piaciuto”.

Sarà piaciuto alle aziende?

Si sono accontentate, oppure i risultati si sono visti a prescindere?

E anche qui, si dovrebbe sentire forte l’esigenza di osservare il fenomeno con le lenti e i filtri di un’analisi seria. L’emergenza è passata ed è un errore lasciarla passare senza approfittarne per comprendere.

 

Non si può generalizzare un fenomeno che ha mostrato così tante potenzialità e altrettante criticità. Probabilmente c’è un potenziale sviluppo che ha bisogno di alcune condizioni per diventare una modalità a cui poter accedere.

E qui – tra i tanti – c’è un quesito importante.

Scegliere il luogo e il tempo del proprio lavoro può essere un diritto? E se può configurarsi come tale, quali sono le condizioni perché lo si possa esercitare? Quali gli elementi sui quali costruire una negoziazione? Quali per una regolamentazione?

 

E per le risposte è necessario affrontare i nodi:

produttività, controllo, autonomia, retribuzione, sicurezza, riservatezza, strumenti, reperibilità, colleganza, connessioni

 

L’idea di un osservatorio “copernicano” è un primo passo per arrivare a una proposta “copernicana” che trovi anche la collaborazione di qualcuno dei “dialoganti” di questa prima stagione dei Dialoghi copernicani. Penso in particolare a Ichino, Boeri, Bentovogli.

 

LM

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