L’ORTO DELLE IDEE

di Davide Pozzo (agosto 2016)

Coltivando il nostro orto ci accorgiamo che esso non è solo il luogo fisico dal quale otteniamo ortaggi freschi, sani e saporiti, ma anche una finestra aperta sulla natura ed i suoi preziosi insegnamenti.

La Base Civica può diventare il nostro orto delle idee.

I modelli ai quali potersi ispirare per condurre il nostro orto sono tanti e molto differenti tra loro: Partito, Associazione convenzionale, modello integrato, associazione politico culturale e molti altri meno noti… Ognuno di essi permette di arrivare a produrre idee, ma con un livello diverso di praticità, sicurezza e impatto. Allora quale strada seguire? Probabilmente il miglior compromesso è di creare una struttura aperta e democratica basata su regole chiare e precise che facciano da pilastro per una tenda aperta, un luogo di incontro, confronto, creazione, un reale co working space politico sociale che lasci liberi i membri di cogliere i frutti e di tramutarli in realtà applicata al Paese.

Nessun vertice, le idee sono e rimangono il Leader.

Parlamentari, Sindaci, Assessori, Cittadini ….tutti uniti dalla voglia di confrontarsi e costruire un Paese migliore.

Non è ancora finita l’estate ma è giunto il momento di preparare il terreno, abbiamo atteso fin troppo senza formalizzare e definire scopo, funzione, struttura di quella che può essere una rete territoriale capillare e innovativa.

 

Concrete Utopie (spunti per lanciare i laboratori)

Il futuro del mondo sarà multipolare e ben si troverà chi si porrà come uno dei possibili poli, con un buon posizionamento ovvero con un buon assetto tra ciò che può offrire a gli altri e ciò che pretenderebbe di ricevere in cambio, oltre al “peso” sprigionato dalla propria consistenza economica-culturale-militare e politica.

Il coinvolgimento dell’elettore in occasione delle scadenze di voto è parossistica. Persone, di solito, del tutto digiune ed aliene dai temi politici, vengono chiamate ad esprimere la loro delega complessiva (complessivamente inerente un grandissimo numero di cose quasi sempre non esplicitate nel contratto elettorale), in un crescendo di pressione improvvisa. Il meccanismo è quello del push & pull, tratto come del resto tutto il marketing politico, da quello commerciale visto che la democrazia è oggi intesa come un mercato delle opinioni il cui atto d’acquisto è il voto. Il “push” è la spinta, spinta a votare ed a farsi una frettolosa opinione, agita dai mezzi di informazione ed oggi, anche dai social media. Il “pull”, l’attrazione, è data dai vari partiti o candidati che imperversano e strabordano in ogni dove per circa un mese prima del voto. Il tutto basato su strategie fashion-seduttive, quindi non razionali, com’è proprio delle tecniche dell’advertising e del marketing. Le dimensioni degli stati-nazione, impongono macchine elettorali grandi, quindi costi grandi, quindi selezione ab origine di chi può permettersi tale impegnativa sfida. Non è prevista uguaglianza delle opportunità.

Si ha l’impressione che i professionisti della politica, vadano a costituire una élite staccata dalla realtà, che si attacca ai propri privilegi, che non conosca le difficoltà del mondo normale, sviluppando una sorta di metalinguaggio (il politichese) astratto e criptico-repellente. I rappresentanti non rappresentano altri che se stessi al servizio degli interessi politici delle lobbies. L’ansiosa richiesta del voto una volta ogni quattro o cinque anni, porta i politici a ricordarsi che lì fuori c’è un mondo in maniera utilitaria e i giochi pirotecnici con cui cercano di attrarre elettori, risultano quasi un insulto per chi da anni, ha problemi che mai vengono risolti e sa che non verranno risolti neanche questa volta.

Il non voto ha quindi una componente passiva ma anche una attiva nel senso di risposta negativa alla domanda di partecipazione ad un gioco truccato, inutile, poco interessante per l’elettore-cittadino.

L’elettore o meglio l’individuo politico, è quindi una specie reietta, frustrata e delusa ma, come detto, c’è una precisa ideologia che tende ad allontanare le persone dalla politica. Si comincia dal fatto che -mediamente- le persone non hanno tempo a disposizione per ciò che esula dal lavoro, dalla gestione della quotidianità e ciò che rimane per gli affetti e le cure personali.

Il fatto che i media siano tutti imprese commerciali legate al profitto quindi legate al consenso d’acquisto è considerato naturale. Ma così si determina l’infanticidio sistematico di ogni nuova idea che per definizione, quando nasce, nasce piccola. Anche i sistemi rappresentativi a soglia o maggioritari sono settati sulla soppressione del nuovo.

Mancando la piazza, il luogo fisico in cui tutta la città si ritrova a prescindere dal genere, anagrafe, classe sociale, ognuno si chiude nella cerchia delle identità particolari da cui la complessità plurale della realtà e della necessaria politica che dovrebbe affrontarla, è esclusa in via di principio. La privatizzazione di tutto, dalle scuole a gli ospedali, si muove sulla stessa logica di casta per cui i simili debbono stare coi simili e l’esposizione al contatto con il differente diventa impossibile ed indesiderato.

Nella condizione attuale, l’individuo democratico manca del tempo per conoscere, approfondire, intervenire. Non c’è informazione di qualità, ci sono invece molte distrazioni e molte pulsioni ad evadere dalla realtà (procurarsi denaro) che prosciuga la gran parte delle energie psichiche ed anche fisiche degli individui. Non solo non c’è tempo, ma non c’è nemmeno modo e luogo per dibattere. Si assiste al dibattito altrui, dibattiti condizionati dalla grammatica del mezzo televisivo che quanto a tempi non è sede naturale dello sviluppo di un discorso logico – critico – argomentativo, si assiste al dibattito di prescelti (opinion leader decretati da chi?) per farsi un’opinione ma così come non s’impara una lingua senza mai provare a parlarla.

Non è assistendo passivi alla passerella delle opinioni convulse di questo o quel opinion leader che si forma un pensiero proprietario ben fondato sulla competenza logico-linguistica. Non c’è modo di catturare la complessità col pensiero perché non c’è tempo di studiarlo e di parlarlo ma anche e soprattutto perché la divisione del lavoro ha invaso anche l’intelletto e la società dell’educazione per cui abbiamo specialisti per tutto ma nessun generalista, si analizzano parti ma non il sistema che è il risultato dell’interrelazione tra le parti. Scatta qui la prima applicazione fondamentale del principio di delega, pochi sanno ed i molti possono al massimo scegliere da quale di loro farsi passivamente rappresentare nel dibattito delle idee.

“Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza” è l’esatto contrario di questa coltivazione della passività da spettatori che è l’essenza della gerarchia in base alla quale, da sempre, i Pochi dominano i Molti.

La “lunga marcia democratica”, dovrebbe articolarsi nel raggiungimento di una serie di concreti obiettivi di progressiva democratizzazione. Il decalogo è semplice: 1) democratizzare costantemente l’istruzione e la formazione; 2) l’informazione; 3) creare occasioni e forme di partecipazione; 4) difendere il primato politico dall’economico ed ancor più dal finanziario, 5) difendere la possibilità strutturale di avere autonomia all’interno del contesto istituzionale dato (Stato, federazione, unione, confederazione); 6) ridurre costantemente i divari e le asimmetrie di conoscenza, possibilità, competenza politica, reddito e capitale; 7) liberare tempo per lo sviluppo dell’aristotelico zoon politikon (che forse era protagoreo); 8) difendere le differenze di anagrafe, genere, etnia ma combattendo strenuamente la tendenza a comporle in gerarchie dominanti; 9) non smettere mai di cercare, ricercare, sperimentare nuove forme di funzionamento politico democratico; 10) far retroagire costantemente i parziali risultati ottenuti modificando in base all’esperienza, la strategia in vigore precedentemente.

Questi universi minori (le aree tematiche), dovrebbero servire proprio come laboratorio democratico prima ancora di lanciare idee e proposte al loro esterno.
L’obiettivo dovrebbe esser quello di ripristinare il primato progressivo del politico su ogni altro ordine (economico, militare, religioso, culturale), del modo democratico su quello oligarchico o monarchico, la democrazia reale cioè diretta (inintermediata) e partecipata su quella rappresentativa e comunque, fintanto che questa è in vigore, portarla su standard proporzionali coadiuvati dal ricorso all’espressione diretta (referendum propositivi ed abrogativi, iniziative di legge popolare etc.), ad elezioni frequenti, al mandato di rappresentanza vincolata, alla osmosi tra professionisti della politica e non, al più breve rapporto tra territorio e sistema generale (Stato, federazione).

Ciò che non è abbastanza chiaro nelle menti, mai lo sarà nelle prassi.

Se il tempo fosse impiegato in attività corrispondenti alle passioni individuali allora la partecipazione verrebbe concepita come arricchimento. Non ho tempo per una conferenza tecnica sul funzionamento del servizio smaltimento rifiuti ma se si parla di sentieri e alpinismo il tempo non manca mai.

Le aree tematiche devono essere corrispondenti alle passioni.

 

Riflessione di Claudio Guarneri

 

Caro Davide, è proprio per questo che dici che molte volte ho pubblicato il seguente link: il fallimento della democrazia

Tutto il problema italiano che porta alle conseguenze di quanto hai detto ed elencato nel link allegato discende dalla mancanza di “senso dello Stato”, senso interiorizzato in ciascuno di noi intendo. Mario Monti ce lo aveva eccome il “senso dello Stato” che si traduce poi in rispetto verso lo Stato, ma quanti nostri politici ce l’hanno? Per questa mancanza di formazione morale io penso che in Italia non ci sarà nulla da fare ancora per lungo tempo. Purtroppo le istituzioni, ci piaccia o no, bisogna esprimerle perchè un Paese non può andare avanti con l’anarchia e pertanto io personalmente sono sempre alla continua ricerca del meno peggio. Ecco perchè una volta appoggio Monti e una altra volta Matteo Renzi e un’altra volta altro se vedo qualcosa di migliore ma che abbia la capacità di incidere a livello nazionale, pur rimanendo la mia anima liberaldemocratica.

 

Proposta per un Manifesto per la Base Civica

1) Riportare il Partito sulla giusta correttezza dei binari istituzionali, ossia del predominio del parlamento e del governo a scapito degli interessi dei partiti. L’interesse individuale e/o corporativo deve essere sempre subalterno all’interesse collettivo poiché: “La moralità dell’uomo politico è quella di esercitare il potere che gli è stato affidato per il bene comune” (e non per l’interesse individuale o corporativo).
2) Riabilitare la parola Partito ormai sputtanata dando “in primis” l’esempio con sacrifici a livello parlamentare e combattendo le disuguaglianze.
3) Rilanciare la crescita con forti investimenti in opere pubbliche, iniziando da quelle necessarie a fermare il dissesto idrogeologico del Paese, e con nuove infrastrutture di telecomunicazione in fibra ottica all’avanguardia e quella delle energie alternative e poco inquinanti (anche sui mezzi di trasporto).

Con “Base Civica”, o con un movimento che nascerà con un nome diverso, deve partire una nuova democrazia 2.0

 

 

 

Commento di Sergio Nardini

 

Prima ancora che nel merito delle aree tematiche, Davide, o dell’utilità del voto, Claudio, io personalmente soffro – parola un pó forte me ne rendo conto – dell’assenza di luoghi di confronto fisico – reale tra persone con idee e punti di vista intorno alla dimensione della Polis: quelli che un tempo si chiamavano i circoli, le sezioni, i club, ecc.
Poi, poichè ció non puó addivenire a scusante, mi ritaglio ‘dove mi trovo, con quello che ho’ spazi-tempi con altre persone, ma su di un piano de-strutturato e d’opinione, non già d’azione (nel Politico): sia vis a vis sia sui social media…
Se, cioè, i media hanno ‘avvicinato’ i luoghi e le persone (il c.d. Villaggio Globale), vero altrettanto è che con il declino dei c.d. partiti di massa, la dimensione individuale/soggettiva (e dunque pure solitaria, solipsistica talvolta onanistica e/o megalomane) ha preso il sopravvento e ha dunque alimentato un processo opposto: di allontanamento dagli altri, dal Politico.


Tornando ai livelli di agire politico, quindi, sospetto che per funzionare un piano deve essere anzitutto semplice.


E avere un nucleo sintonico/armonico di persone che lo realizzino.


A regole date, intanto, poichè benchè ogni cittadino/a sia depositario di potere, esso non è ‘legittimato’ con un voto aperto a tutti per operare erga omnes alcuni dei cambiamenti, Davide, abbozzati nelle tue aree tematiche.


Quindi?


Quindi occorrerebbe darsi un obiettivo specifico, meglio se dentro a una tradizione filosofico-politica europea; un piano d’azione (e sue declinazioni); una divisione di ruoli (front men/soci finanziatori/soci promotori/soci reclutatori/soci comunicatori…)…


In poche parole: Un’organizzazione … ciò che manca alla liberal-democrazia italiana, cioè.


E che, quindi, si va prestando – secondo opportunità – al csx o al tentativo di ri-costruzione del cdx dopo il fallimento del leader e la disgregazione di un’alleanza rivelatasi meramente un cartello elettorale – il PdL – tenuto assieme dal carisma (e i denari e la proprietà di mezzi d’informazione di massa ecc).


Sospetto che ció sarà sino a un mese prima delle elezioni per la XVIII legislatura, quella della maggiore età della ns giovine Repubblica democratico-parlamentare.

Be the first to comment

Leave a Reply